Criticità nel riutilizzo dei beni sequestrati e valorizzazione dei beni confiscati alle mafie nel PNRR

Il contrasto alla mafia, sviluppato attraverso l’attività investigativa e giudiziaria, può dirsi completo solo quando culmina nella restituzione al territorio dei beni predati da questi gruppi criminali. La loro riconquista e reimpiego a fini sociali è la più concreta testimonianza della presenza dello Stato

Presidente della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, magistrato responsabile dell’Ufficio Affari Internazionali - Corte dei Conti

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Premessa

Il contrasto alla mafia, sviluppato attraverso l’attività investigativa e giudiziaria, può dirsi completo solo quando culmina nella restituzione al territorio dei beni predati da questi gruppi criminali. La loro riconquista e reimpiego a fini sociali è la più concreta testimonianza della presenza dello Stato. La comunità di riferimento, in tal modo, tocca la sconfitta del malaffare, la vive, la percepisce; e potente è l’azione educativa che ne scaturisce, nei confronti di ciascun cittadino. L’omesso riutilizzo, di contro, può depotenziare i pregressi successi investigativi e di giustizia. Dalla necessità di consentire allo Stato di riaffermare la legalità sul territorio, derivano i numerosi istituti finalizzati a disciplinare i sequestri e le confische di beni alla criminalità organizzata. Alla stratificazione di norme che ne è conseguita è stata data una parziale soluzione con il Codice antimafia (d.lgs del 6 settembre 2011, n. 159) oggetto di costanti aggiornamenti. Fondamentale, a tal riguardo, risulta l’istituzione, nel 2010, dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati – ANBSC, deputata alla gestione – in collaborazione con l’autorità giudiziaria – dei beni sequestrati e confiscati e, dunque, vero perno del sistema.

Le criticità nel riutilizzo dei beni sequestrati

La Corte dei conti si è più volte occupata del tema1 in considerazione della sua importanza; per ultimo con la Relazione n. 34/2023/G, deliberata il 2 maggio 2023. In essa, la Sezione Centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, ha cercato di individuare i fattori di ostacolo a una più vasta, e certamente possibile, attività di assegnazione dei beni a scopi sociali. Le principali criticità, segnalate dall’ANCI e condivise dalla Sezione, sono quelle riconducibili, innanzitutto, al cattivo stato di conservazione degli immobili e alla difficoltà di reperire risorse adeguate al restauro o alla ristrutturazione degli stessi; alla difficoltà nell’identificare soggetti terzi interessati alla gestione dei beni, spesso legate alle destinazioni d’uso degli stessi; alla difficoltà dei procedimenti necessari per la sanatoria funzionale (agibilità, cambio di destinazione d’uso, etc.) che impongono ingenti oneri burocratici, economici e temporali.

Inoltre, dall’ articolata istruttoria intrattenuta dagli Organi della Corte dei conti con l’Agenzia preposta, molti sono gli elementi di riflessione ed approfondimento emersi, fermo restando che la criticità di maggior rilievo riscontrata è stata la carenza dei fondi necessari alla rifunzionalizzazione dei beni ed alla loro conduzione. Innanzitutto, la scarsa dotazione organica iniziale dell’ANBSC, rimasta tale per diversi anni, ha determinato discrasie, alcune ancora attuali, seppur in via superamento a seguito del significativo potenziamento, quantitativo e qualitativo, della pianta (da 30 a 300 unità) ottenuto nel 2017, grazie al quale ha potuto riorganizzarsi ed agire per migliorare il bagaglio tecnico professionale dei propri quadri, attraverso convenzioni con diversi Atenei italiani.

Inoltre, un persistente deficit di piena interoperabilità tra i sistemi informativi della citata Agenzia e quelli della Giustizia, anche attualmente, non agevola affatto l’esatta ricostruzione e conoscenza dei dati dei beni sottoposti a sequestro, limita l’affidabilità delle relative informazioni e rappresenta un settore in cui va riassorbito un significativo ritardo.

L’ANBSC sta comunque proseguendo le attività di riallineamento della propria piattaforma gestionale, sia con il caricamento delle procedure non presenti, sia con l’aggiornamento costante della qualità del dato ed ha stipulato di un protocollo d’intesa con il Ministro della Giustizia; tuttavia, essa continua a non ricevere, salvo per alcuni distretti, e per le sole misure di prevenzione, il flusso di dati dalla Giustizia. 

Ne consegue che il caricamento delle procedure è ancora manuale, e incompleto è il dato relativo ai sequestri e alle confische di I grado, di cui l’Agenzia viene notiziata soltanto parzialmente. Nessuna rilevazione avviene, infine, in ordine alle misure derivanti da processi penali, i cui dati continuano a pervenire all’ANBSC in modalità non telematica e talora solo dopo la confisca definitiva. 

Quanto all’importante dialogo con l’Agenzia delle Entrate è stato recentemente concluso un “Accordo per la collaborazione mirata all’interscambio informativo dei dati catastali, fiscali e reddituali, all’attività di valutazione immobiliare di interesse dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalità organizzata, nonché per la formazione in materia ipotecaria, catastale e tributaria”, che permetterà, ora, di acquisire tempestivamente elementi informativi decisivi per avviare, con maggiori garanzie e certezze, le progettualità di gestione e valorizzazione dei beni. 

Per quanto riguarda la durata e la complessità dei procedimenti ablatori e di destinazione dei beni, che permane di almeno 4-5 anni, essa non sembra essere stata ridotta a sufficienza; tali procedimenti continuano ad essere popolati da diversi attori istituzionali, ed è stato espresso l’auspicio alla Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per le politiche di coesione affinché, nell’esercizio delle proprie funzioni di coordinamento e controllo, faccia propria, sempre di più, una visione sistemica della materia.

Non può, d’altra parte, disconoscersi che il patrimonio sequestrato o confiscato è ormai veramente ingente e in costante crescita, e senza azioni innovative, frutto di concertazione governativa, rischia di trasformarsi da riconosciuta opportunità in terreno per l’esercizio di critica, non sempre costruttiva. Con riguardo ai beni in gestione, ad esempio, è stato sovente e da tempo verificato il mancato perfezionamento, entro il termine della definitività della confisca, del sub-procedimento giudiziario di verifica dei crediti dei terzi in buona fede e permane la difficoltà ad ottenere stime affidabili circa il valore di mercato dei medesimi beni; ciò nonostante l’Agenzia sta aumentando la propria capacità a destinare i beni, in particolare immobili, rispetto ai quali ha incrementato, nel triennio 2020- 2022, di quasi il 150 per cento la propria performance, con tendenza confermata nel 2023, di cui è stata auspicata l’ulteriore crescita.

Non va inoltre sottaciuto che l’incertezza sull’esito definitivo dei procedimenti ablatori è spesso causa della prudenza degli enti locali rispetto alla acquisizione dei beni in questione al proprio patrimonio.
Il dubbio che, in caso di revoca dei provvedimenti di sequestro o di confisca e conseguente restituzione dei beni, l’impiego delle (poche) risorse disponibili per la loro rifunzionalizzazione risulti vanificato, induce sovente a non occuparsene fino a definitiva pronuncia, lasciando così il bene alla mercè di chiunque che possa ulteriormente deteriorarlo, determinando così maggiori costi per un successivo, efficace ripristino.

Infine, in tema di vendita degli immobili confiscati, essa resta un’ipotesi residuale, ma esperibile, a condizione che non sia stata possibile una destinazione sociale o istituzionale o che essa sia necessaria per il soddisfacimento dei creditori. Un protocollo d’intesa con il Consiglio nazionale del Notariato, concluso nel 2022, successivamente integrato con l’accordo, stipulato nel 2023 con la Direzione Nazionale Antimafia finalizzato a prevenire il rischio di infiltrazione criminale, sta consentendo all’Agenzia di procedere rapidamente e nella massima trasparenza, alla cessione di cespiti altrimenti di ben difficile gestione.

La valorizzazione beni confiscati nel PNRR

Per tale ragione l’inserimento della valorizzazione dei beni confiscati nei progetti del PNRR attraverso il Piano d’intervento XXVI/22 non poteva che riscuotere unanime apprezzamento, testimoniato soprattutto dalle numerose elaborazioni progettuali presentate. Il suo scopo era enunciato nella promozione dello sviluppo economico, sociale e civile nelle aree caratterizzate dalla presenza della criminalità organizzata, attraverso progetti per la riqualificazione e la valorizzazione dei beni confiscati, in via definitiva, in modo da generare risorse sul territorio interessato e, conseguentemente, creare nuove opportunità di lavoro. A suo fondamento la dichiarata necessità dare un senso compiuto all’impegno delle forze di polizia, della magistratura e della società civile che, insieme, combattono la criminalità organizzata, determinando le condizioni affinché i beni confiscati possano tornare nella disponibilità di coloro che, più di altri, risentono di disagio sociale.

Oggetto dell’investimento, quindi, è stata la riqualificazione dei beni sottoposti a confisca definitiva, già destinati ex art. 47 del Codice antimafia e iscritti nel patrimonio indisponibile del ricevente. 

I 300 milioni stanziati sono stati destinati alla realizzazione di 200 progetti, da realizzarsi nelle Regioni del mezzogiorno: 250 milioni per proposte progettuali da presentare tramite adesione all’avviso pubblico, tendenti alla valorizzazione dei beni confiscati alle mafie per il potenziamento del social housing, la rigenerazione urbana e il rafforzamento dei servizi pubblici
di prossimità, il potenziamento dei servizi socio-culturali a favore dei giovani e l’aumento delle opportunità di lavoro ( con criteri premiali per i progetti rivolti alla valorizzazione di beni da destinare a centri antiviolenza per donne e bambini, case rifugio, asili nido e micronidi); 50 mln di euro per altri progetti (progetti pilota) mediante procedura di concertazione negoziata, per interventi che per dimensione, valore simbolico, sostenibilità e prospettive di sviluppo richiedevano una concertazione tra più soggetti territorialmente competenti. Fra i molti progetti presentati, quelli ammessi a finanziamento relativi all’avviso pubblico sono risultati ben 242 per un valore di 249,5 mln di euro, mentre quelli ammessi alla procedura concertativo negoziale 12, per un valore di 50,2 mln di euro. Un intenso fervore attuativo ha fatto seguito a questa fase, per la predisposizione dei provvedimenti idonei alla realizzazione dell’obiettivo, e la relativa attività è stata monitorata dalla Corte, con specifici rapporti. Secondo quanto riferito dalle amministrazioni competenti, nel corso degli anni 2022-23 sono state emanate linee guida e manualistica a supporto degli enti attuatori, nonché svolta una costante azione istruttoria sui progetti presentati e sulle richieste di anticipazione che, in esito ai controlli effettuati dalla struttura preposta, ha consentito l’autorizzazione al pagamento di anticipazioni pari a circa il 50 per cento delle richieste pervenute. 

Tuttavia, per effetto della riprogrammazione finanziaria, tuttora in corso, degli investimenti de-finanziati nell’ambito delle misure PNRR di competenza, che ha riguardato anche l’investimento “Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie”, il Dipartimento per le politiche di coesione e per il sud ha reso noto che – in attesa della formalizzazione delle preannunciate direttive di superiore livello – non avrebbe proseguito a finalizzare gli adempimenti relativi ai trasferimenti delle risorse verso i soggetti attuatori, nonché ad eseguire i controlli sui “Rendiconti di progetto” da questi presentati in relazione alle spese sostenute per le misure che sono state oggetto di definanziamento. Ciò premesso, trattandosi di modifiche del PNRR operate dal Governo, convalidate nel contesto comunitario, ed espressione di alta discrezionalità politica, nonché avuto riguardo all’impegno, ripetutamente assunto, ad attuare egualmente i progetti esaminati con “risorse proprie di bilancio”, può solo considerarsi che la loro assenza o scarsità, nel tempo, sono state fra le ragioni che avevano spinto ad individuare nei fondi del PNRR la fonte di specifico finanziamento. L’auspicio è che, nella situazione di temporaneo stallo venuta a determinarsi, le nuove risorse vengano reperite e poste a disposizione in tempi brevi, sia per non disperdere l’impiego di tempo e risorse umane sin qui dedicate alla specifica progettualità, sia per evitare che i beni confiscati ricompresi negli interventi approvati, vengano ancora privati della necessaria finalizzazione.

1. Deliberazioni nn. 17/2005/G, n. 23/2010/G, n. 6/2014/G e n. 5/2016/G

Questo contributo è tratto dal volume tematico

Da beni mafiosi a beni comuni

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