Crimine organizzato transnazionale: la mafia come marchio geopolitico

Ogni analisi sul crimine organizzato transnazionale non può prescindere da un’analisi della mafia, delle sue origini e delle sue pericolose evoluzioni poiché, da fenomeno tradizionale e locale, il modello mafioso si è evoluto in paradigma globale 

Rosario Aitala

Primo Vicepresidente Corte Penale Internazionale e membro del Comitato scientifico Fondazione Scintille di futuro

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Dopo ‘spaghetti’ e ‘pizza’, ‘mafia’ è la parola che il mondo associa di più all’Italia

Il crimine organizzato transnazionale si riferisce a gruppi criminali strutturati che operano oltre i confini nazionali, coordinando attività illecite in più Stati e sfruttando la globalizzazione per espandere potere e profitti. La caratteristica comune di questi gruppi è che non si limitano alla violenza o al controllo del territorio, ma si integrano nei circuiti economici e politici globali, utilizzando strumenti sofisticati di riciclaggio, corruzione e manipolazione finanziaria. 

Ogni analisi sul crimine organizzato transnazionale non può prescindere da una analisi della mafia, delle sue origini e delle sue pericolose evoluzioni poiché, da fenomeno tradizionale e locale, il modello mafioso si è evoluto in paradigma globale. 

Oggi gruppi criminali che si ispirano al metodo mafioso occupano posizioni di potere nel sistema mondiale, influenzando ambiti territoriali, politici, economici, sociali e culturali. Non v’è dubbio che debbano considerarsi in qualche misura soggetti geopolitici un certo numero di collettività criminali con vocazione transnazionale. Si tratta di attori internazionali che, strumentalmente ai propri interessi, assecondano e talvolta guidano dinamiche geopolitiche locali e globali, producendo effetti su istituzioni politiche, relazioni internazionali, economia, finanza e cultura. L’attenta osservazione globale dell’associazionismo criminale rimanda a una varietà di esperienze, spesso assimilabili alla tassonomia mafiosa solo attraverso analogie approssimate o per mera volgarizzazione del marchio. A divergere sono per prima cosa la natura, la vita interna del soggetto, e per conseguenza la sua capacità di radicarsi, espandersi e sopravvivere nel tempo resistendo alla competizione e ai conflitti con altri soggetti, legali e illegali, formali e non. Mutano poi la qualità e l’intensità delle relazioni intrattenute con il potere sociale, economico e istituzionale.
Da mafie trasformatesi in Stato a mafie che vivono nel perimetro delle istituzioni come parassiti opportunisti, ordinamenti paralleli; dai brutali cartelli messicani del narcotraffico dai metodi paraterroristici alle evanescenti reti a geometria variabile dei colletti bianchi del riciclaggio globale; dai clan tribali delle remote province afghane alle mafie nigeriane del vudù

Riunire fenomeni così diversi sotto l’etichetta di ‘mafia’, semplicemente aggiungendo una specificazione nazionale o regionale, è un’operazione poco utile e concettualmente errata. Come ha scritto Leonardo Sciascia, «se tutto è mafia, niente è mafia». Per capire veramente l’impatto geopolitico del fenomeno mafioso, è necessario andare oltre la parola e analizzare la sua natura profonda: risalire alle origini, ai tratti distintivi e alle condizioni che ne permettono il radicamento locale e l’espansione internazionale, al fine di immaginare come potrebbe evolversi nel contesto del mondo post-moderno.

«Noi abbiamo inventato la mafia. E l’antimafia». Alle parole del consigliere del ministro degli Esteri italiano i partecipanti alla tavola rotonda annuiscono divertiti. Fra loro Hillary Clinton, segretario di Stato di Obama. Al Palazzo di Vetro di New York, a margine dell’Assemblea Generale, si discute come affrontare l’emergenza criminalità organizzata in America Centrale, che da questione di ordine pubblico sta rapidamente evolvendo in catastrofe geopolitica. È il 2011 e Roma guida un denso programma di sostegno agli Stati del Sistema de integración centroamericana che supera la tattica puramente militare adottata senza successo da Washington in Messico e altrove, per focalizzarsi su misure idonee a incidere sul capitale strutturale, sociale, politico e geopolitico delle mafie.

Dopo ‘spaghetti’ e ‘pizza’, ‘mafia’ è la parola che il mondo associa di più all’Italia. «What is the Maffia?» si chiede il New York Times nel 1874, precisamente un secolo e mezzo fa. È la prima apparizione del lemma sul più autorevole dei quotidiani americani, che si risponde: «È una vasta organizzazione delle “classi pericolose”, tutti coloro che preferiscono vivere sfidando e calpestando la legge… nobili, giudici, avvocati, commercianti, agricoltori, insomma ogni grado della vita». Perché la realtà profonda e complessa della mafia fosse nitidamente messa a fuoco si dovette aspettare la pubblicazione di Cose di Cosa Nostra di Giovanni Falcone, frutto di interviste concesse nel 1991 alla giornalista francese Marcelle Padovani. Il libro di Falcone contiene episodi che scolpiscono una specie di ‘autocoscienza’ mafiosa. Questo merita citazione per intero: «Uno dei miei colleghi romani, nel 1980, va a trovare Frank Coppola appena arrestato, e lo provoca: “Signor Coppola, che cosa è la mafia?”. Il vecchio, che non è nato ieri, ci pensa su e ribatte: “Signor giudice, tre magistrati vorrebbero diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia.”»

Storici autorevoli hanno discusso a lungo sull’origine del termine mafia, senza riuscire a chiarirne pienamente il significato, confermando che è storicamente polisemico e assume diversi significati a seconda del contesto, delle circostanze e degli interessi di chi lo usa. Quanto alla sostanza, esistono tre principali interpretazioni del fenomeno mafioso, ognuna valida ma incompleta. La visione culturalista riduce la mafia a una questione culturale, sociale ed etnica, spesso legata alle origini semifeudali. La concezione organizzativa si concentra sulla struttura, le regole e le gerarchie interne della mafia, nonché sulle sue relazioni esterne. Infine, alcuni vedono la mafia come un’impresa o un’industria criminale. Per individuare un minimo comune denominatore ai diversi approcci, la mafia è stata descritta in termini di rapporto patologico tra politica, società e criminalità. Rappresentazione generica ma corretta e utile se non altro a distinguere i mafiosi dai briganti. 

Non volendosi avventurare in sforzi definitori, interessa qui comprendere quali caratteri abbiano consentito che delle formazioni sociali di carattere contingente e territoriale si siano evolute in un complesso sistema di potere capace di agire da autorevole soggetto geopolitico in un connubio esemplare di tradizione e modernità, localismo e globalismo. Analizzando la storia mafiosa in modo comparativo, emergono due aspetti che caratterizzano le poche società criminali in grado di sopravvivere nel tempo e nello spazio: uno ontologico e l’altro relazionale. Il primo riguarda la natura del sottomondo mafioso, il secondo riguarda l’interazione tra questo sottomondo e il sopramondo. Entrambi sono elementi fondamentali del potere geopolitico mafioso.

La profonda penetrazione della mafia nel corpo vivo della società è un carattere essenziale delle associazioni mafiose geopoliticamente rilevanti. La mafia è geneticamente creatura politica: ricerca, coltiva interazioni con il potere istituzionale e influenza i processi politici strumentalmente alla conservazione e al rafforzamento della propria élite. Per insinuarsi in seno alla società, la mafia adotta una struttura a cerchi concentrici: al centro c’è il nucleo ristretto e segreto degli affiliati, attorno a cui ruotano reti estese di relazioni basate su interessi politici, economici e sociali. Questa rete di sostegno, alimentata da lealtà fondate su interesse, violenza o intimidazione, garantisce alla mafia forza territoriale e successo nei rapporti. Vi partecipano familiari, imprenditori, lavoratori, politici, funzionari corrotti e professionisti di vario tipo.

La solidità del vincolo mafioso e la capacità di penetrazione territoriale ed economica rendono le mafie resistenti nella competizione con altri poteri, legali e illegali. Questi tratti favoriscono il radicamento e l’espansione locale e internazionale. Già Falcone riconosceva che la mafia non fosse solo un fenomeno locale del Sud, ma un fenomeno con una dimensione nazionale e globale. La mafia americana, ad esempio, non è stata una semplice filiazione siciliana, ma un fenomeno che ha riprodotto le sue caratteristiche di protezione, legittimazione e penetrazione politica. Anche la ’ndrangheta, recentemente, ha rafforzato la sua struttura verticistica, smentendo le teorie che la consideravano frammentata.

Le mafie possono vantare un rilevante capitale di potere geopolitico: la forza militare, ovvero la capacità di dominare e difendere il territorio da altri competitori e dalle stesse istituzioni detentrici del potere formale; il potere normativo, esercitato dotandosi di regole che valgono sia nei confronti dei membri dell’organizzazione, sia degli estranei che a vario titolo possono interferire con l’interesse mafioso; il potere giurisdizionale, ovvero la facoltà di giudicare e sanzionare in modo efficace, rapido e inappellabile le violazioni; un potere economico grazie a risorse umane e capitali, infiltrandosi nel tessuto produttivo. 

In termini geopolitici diventa quindi cruciale studiare i legami tra mafie e potere politico. Certo, va chiarito, in conclusione, che non tutte le formazioni criminali sono vere mafie. Cosa nostra e ’ndrangheta per es. sono uniche per struttura e potere geopolitico, mentre gruppi come la yakuza giapponese e le triadi cinesi non hanno relazioni con il potere istituzionale e impatti geopolitici limitati. I cartelli messicani e le maras, pur influenzando la politica, sono meno stabili e più simili a bande paramilitari. Non tutte le mafie diventano Stati mafiosi; a volte indeboliscono le istituzioni senza sostituirle completamente. Esempi come Kosovo, Guinea Bissau e Transnistria mostrano come conflitti possano creare Stati paralleli, dove le mafie prosperano. Le mafie opportuniste, come le italiane, minano l’autorità dello Stato senza distruggerlo, mentre quelle conflittuali combattono per il controllo del territorio. Alcuni Stati, come in Africa e Centro America, hanno visto il potere mafioso svuotare la loro sovranità. 

Prevedere il futuro geopolitico delle mafie non è semplice. Negli ultimi anni sono emerse nuove organizzazioni più flessibili, spesso create per operazioni internazionali specifiche e destinate a dissolversi rapidamente. Inoltre, si stanno diffondendo le mafie ‘virtuali’, come le reti globali di riciclaggio, composte da colletti bianchi e professionisti che facilitano operazioni finanziarie per ‘ripulire’ capitali illeciti. Queste reti operano in paradisi fiscali e sistemi offshore, alcuni dei quali si trovano anche in Europa. Si stima che circa 20 mila miliardi di dollari siano depositati in questi paradisi, sottratti a tassazione e indagini. La questione non è solo economica, ma anche politica. Torna ancora alla mente l’indimenticato Francesco Carrara:
«Giustizia e politica non nacquero sorelle: quando la politica entra dalla porta del tempio, la Giustizia se ne fugge impaurita, per tornarsene al cielo».

Questo contributo è tratto dal volume tematico

Economia, informazione e diritto contro le mafie

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