Sono davvero dispiaciuto per quello che è accaduto il pomeriggio del 23 maggio – dice Pietro Grasso – ma posso assicurare che si è verificato solo un grande equivoco: gli organizzatori dell’iniziativa, che fanno capo alla Fondazione Falcone, mi hanno dato la parola venti minuti prima dell’orario della strage. Io ho iniziato a parlare, poi vedendo che via Notarbartolo era già un tappetto di persone, ho pensato che anche il corteo fosse arrivato. E ho cominciato a leggere i nomi delle vittime». Qualcuno ha ipotizzato che ci sia stata la mano del governo in questa commemorazione avvenuta dieci minuti prima, per evitare le contestazioni degli studenti sotto l’Albero Falcone. Cosa c’è di vero in questa ricostruzione?
«E’ offensivo solo ipotizzare che io mi sarei potuto prestare a una cosa del genere. Anzi, durante il mio intervento ho salutato i ragazzi del corteo convinto fossero arrivati. Il giorno prima, avevo partecipato a un’altra iniziativa a Capaci, con alcune delle associazioni che hanno promosso la manifestazione ma non solo: con la mia Fondazione Scintille di futuro faccio parte dell’Osservatorio sulla legalità della Cgil insieme a Libera e a tante altre realtà».
I ragazzi, però, ci sono rimasti male che sia stato suonato il silenzio dieci minuti prima, senza che loro fossero ancora arrivati.
«Questo mi dispiace molto. Ho chiamato Marta Capaccioni, che è fra gli organizzatori del corteo. Le ho spiegato tutto. E ci siamo dati appuntamento per i prossimi giorni: voglio incontrarli, parlare con loro, come sempre ho fatto. Due anni fa, alcuni dei ragazzi manganellati dalla polizia in via Notarbartolo avevano partecipato ai miei seminari a Giurisprudenza».
Cosa dovrebbe fare l’antimafia oggi?
«Ognuno può pensare e a fare quello che vuole. Rispetto tutte le posizioni, e capisco che ci possano essere anche differenze tra i movimenti, persino su come celebrare il 23 maggio. Ma l’albero dovrebbe essere il momento in cui ci si unisce tutte e tutti nel ricordo. Da una vita predico e mi impegno per l’unità nella lotta alla mafia. Anche in questi giorni ho partecipato a tutte le iniziative per portare avanti questo messaggio. E mi dispiace davvero che sia creato un equivoco».
Quel momento, sotto l’Albero Falcone, è scandito dalle sue parole ormai da trentatrè anni. L’equivoco, per utilizzare le sue parole, si sarebbe potuto evitare?
«Per come è messo il palco, a colpo d’occhio avevo la sensazione che il corteo fosse già arrivato, e pronunciare i nomi delle vittime – persone che io conoscevo – è un momento davvero molto emozionante per me. Se può servire, il prossimo anno, mi farò da parte. E magari i nomi li leggeranno gli studenti».
L’antimafia resta attraversata da tante lacerazioni, anche all’interno delle famiglie delle vittime. Continuerà ad essere così?
«Lasciata la politica continuo a impegnarmi perchè non si perda di vista l’obiettivo dell’antimafia sociale. I tempi sono cambiati, bisogna sforzarsi tutti un po’ di più, capire meglio come le battaglie possano intersecarsi, bisogna inserire la lotta alle mafie in un contesto più ampio di lotte tese a migliorare le condizioni materiali e sociali delle persone e la qualità della democrazia. L’obiettivo, in fondo, resta sempre lo stesso: unire tutte le componenti, sociali e istituzionali, per isolare le mafie, sostenere le forze dell’ordine e la magistratura che le combattono, riuscire a liberare le persone dal bisogno e dal ricatto».