Il linguaggio non verbale
Nella loro capacità espressiva, i mafiosi riescono a comunicare anche con un linguaggio non verbale, o meglio del corpo, come l’abbigliamento, l’incedere, il taglio dei capelli e la gestualità.
Corrado Alvaro scriveva che i picciotti legati alla ‘ndrangheta si facevano crescere le basette, assumevano un’andatura dondolante e portavano un fazzoletto di colore, rigirato con molta cura attorno al collo con annodature raffinate.19 In una sentenza del 1890 del Tribunale di Palmi si fa riferimento ad alcuni affiliati che si riconoscevano per un particolare taglio di capelli, detto a farfalla.20
Anche Alexandre Dumas, descrisse il particolare look dei camorristi che si facevano notare per i loro abiti di velluto a colori sgargianti, per la loro cravatta chiara, le catene degli orologi incrociati in tutti i sensi sul panciotto cangiante, per le loro dita cariche di anelli fino all’ultima falange e per i bastoni lunghi di rattan. Erano in altre parole riconoscibili come i bravi del Manzoni ne I Promessi Sposi. «L’abito, il portamento e quello che, dal luogo ov’era giunto il curato, si poteva distinguere dall’aspetto, non lasciava dubbio intorno alla lor condizione».22
I mafiosi erano riconoscibili anche per l’incedere spocchioso. Ostentavano i ritmi lenti come se fossero gli unici a permetterseli, non avendo la pressione di dover lavorare. C’è un verbo che descrive l’andatura tracotante e supponente dei mafiosi: annacarsi, ovvero muoversi ondeggiando come le statute trasportate in processione durante le feste patronali. Anche quello era un modo di comunicare, di far capire a tutti chi comandava nei vari paesi. Perché tutti lo dovevano sapere. L’importante era negarlo agli “sbirri”.
Si comunicava anche con i tatuaggi che rappresentavano un’indicazione di appartenenza o di abilità/valenza. In un articolo della Tribuna Illustrata del 1906 venne riprodotto un alfabeto dei segni riconducibile ai tatuaggi dei camorristi. Nelle carte di molti processi dell’Ottocento e di inizio Novecento vennero ritratti i tatuaggi che gli inquirenti avevano catalogato sul corpo di picciotti e camorristi.23 Importanti studi sui tatuaggi vennero fatti da Abele De Blasio.24
Oggi invece i tatuaggi hanno altri orizzonti di senso. Matteo Messina Denaro, per esempio, ne aveva tre: due erano rappresentati da frasi e uno da un codice numerico. Entrambe le frasi, “Fra le selvagge tigri” e “Ad augusta per angusta”, si collegavano alla passione del boss di Castelvetrano per la storia romana. Il primo tatuaggio sembra ispirarsi alla locuzione latina hic sunt leones, comparsa su carte geografiche dell’antica Roma e di età successiva in corrispondenza delle zone inesplorate dell’Africa e dell’Asia. Il secondo ad altra locuzione latina Per aspera ad astra, rintracciabile sia nel Libro Nono dell’Eneide di Virgilio sia nell’Hercules Furens di Seneca.
I pizzini di Provenzano
A fare eccezione rispetto alla vocazione orale dei mafiosi sono i pizzini di Bernardo Provenzano che riprendevano l’idea delle farfalle di fine ottocento e delle palummedde, citate dal collaboratore di giustizia Calvaruso. Essi sono una fonte inesauribile di conoscenza dei meccanismi che regolano la comunicazione tra Provenzano, la sua famiglia e il popolo di Cosa nostra, con richieste di soluzioni cui segue puntuale la risposta dell’ex viddanu, cresciuto assieme a Totò Riina all’ombra di Michele Navarro, medico e boss di Corleone, ucciso negli anni Cinquanta.
A tradire Provenzano è stato l’ultimo pizzino, inviato alla compagna la mattina stessa dell’arresto, avvenuto l’11 aprile 2006, dopo 43 anni di latitanza, in una masseria poco fuori Corleone, a due passi da dove era nato. Aveva comandato anche così, battendo i tasti delle sue macchine per scrivere e affidandone i messaggi nelle mani di alcuni fidati postini.
Carissimo Ingegnere,
ho letto quello che mi hadato M. ma a scanso di equivoci ho riferito che ne parlero quando ci sara possibile vederci; Mi e stato detto dal nostro Sen; e dal nuovo Pres; che spigeranno la nuova soluzione per la sua sofferenza; appena ho notizie velifaro avere; So che la avv. ed il SEn; Ho letto che a lei non ha piacere e bisogna prendere tempo. Si tratta di nomine nel gas; Z; mi ha detto che vi trovate in ospedale, che la salute vi ritorni presto e che il buon Dio ci assista.
Tra i suoi interlocutori c’era anche Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss stragista deceduto nel 2023. «I suoi contatti sono gli unici che a me stanno bene, cioè di altri non riconosco a nessuno, chi è amico suo è e sarà amico mio, chi non è amico suo – sottolineava il boss trapanese – non solo non è amico mio ma sarà un nemico mio, su questo non c’è alcun dubbio». E poi l’ossequio e la riverenza per il vecchio boss, che viene sempre evidenziata: «Io la ringrazio di cuore che lei si sta interessando a questo mio problema e la ringrazio per adoperarsi per l’armonia e la pace per tutti noi». In un altro pizzino, Matteo Messina Denaro esprimeva poi tutto il suo rispetto per le gerarchie mafiose:
Le regole le conosco e le rispetto, la prova che io conosco le regole e che le sto rispettando sta proprio nel fatto che io mi sto rivolgendo a lei per sistemare questa spiacevole vicenda, questo per me è rispettare le regole. Ci fu un tempo in cui io ad Ag ho pulito tanti angoli, lo feci perché mi fu ordinato da chi era più in alto di me, e lei sa di chi parlo e lo feci anche perché era giusto e doveroso aiutarli, parlo dell’83 in poi, mi fu detto di sistemargli ciò di cui avevano bisogno e io nell’arco di anni mi resi sempre disponibile per tutto ciò di cui avevano bisogno, capirà che vivendo ripetutamente certe esperienze si instaura oltre un rapporto di amicizia anche un sentimento di fratellanza, bene, io anche in quegli anni di fratellanza non mi permisi mai di dire una parola in più ad Ag, cioè sono rimasto sempre nei limiti di amico e fratello. Ora di tutti quelli con cui avevo rapporti di fratellanza ad Ag, non ce n’è più nemmeno uno in giro, sono tutti dentro, chi c’è ora io non li conosco e mi rendo conto che non sanno nulla del passato, si figuri se io vado a dire parole in più agli amici di Ag di ora.
Chiudendo il pizzino, Messina Denaro esprimeva ancora tutto il suo affetto per il vecchio boss corleonese:
So che lei non ha bisogno di alcuna raccomandazione perché è il nostro maestro ma è il mio cuore che parla e la prego di stare sempre molto attento, le voglio tanto bene
Dai pizzini al web
Dai pizzini sgrammaticati con cui Provenzano esprimeva il suo personalissimo stile di comando, si è passati ai nuovi media, ma soprattutto alla comunicazione filtrata dai server che garantiscono la sicurezza di messaggi a prova di intercettazione.
I primi a usare i social network sono stati i camorristi. Poi è stata la volta di ‘ndranghetisti e mafiosi. Il figlio di un boss della ‘ndrangheta, prima di essere condannato a trent’anni di reclusione, ha usato Facebook per tuonare contro la giustizia.
Ha usato la stessa piattaforma di condivisione anche la figlia maggiore del boss Totò Riina che, in occasione della morte del padre, ha postato un dito sulla bocca per invitare tutti al silenzio.
Con Instagram e TikTok, l’aspetto visuale dei messaggi ha soppiantato quello grafico. La parola scritta si è ridotta a un essenziale corredo, fatto di pochi termini chiave (hashtag) o sintetiche e apodittiche sentenze (meme). Come ha spiegato An Xiao Mina, studiosa americana di digital media, la parola scritta ha subito una profonda trasformazione sulle piattaforme digitali diventando uno strumento per rendere funzioni e attitudini comunicative proprie della cultura orale.25
In un rapporto sulle mafie nell’era digitale, promosso e finanziato dalla Fondazione Magna Grecia, Marcello Ravveduto ha spiegato come rappresentazione, autorappresentazione, performance e condivisione di contenuti concorrano in maniera paritaria alla creazione dell’interreale mafioso in cui la continuità tra reale e virtuale trasforma il cyberspace in cyberplace.
Le piattaforme social sono ormai diventate territori digitali in cui convergono i contatti on-line e le reti sociali off-line.
I comportamenti del mafioso, dell’affiliato o del simpatizzante nel mondo reale influenzano l’identità e la rete dei contatti nel social network; allo stesso tempo i comportamenti del mafioso, dell’affiliato o del simpatizzante nel social network influenzano l’identità e la rete sociale nel mondo reale.
La lingua utilizzata è spesso il dialetto locale corredato da tracce sonore di uguale idioma e da simboli grafici (emoji) apparentemente innocui che assumono, però, valenza gergale all’interno del contesto criminale. Nei messaggi condivisi sui social media i rampolli dei boss si mostrano mentre bevono champagne, indossano abiti di lusso o guidano auto di grossa cilindrata. Secondo Ravveduto, l’utilizzo dei social network ha paradossalmente reso “trasparente”, per chi è in grado di riconoscerlo, il contesto mafioso, frutto della combinazione tra immediatezza e ipermediazione.26
Matteo Messina Denaro, in questo senso, ha rappresentato la transizione tra i due mondi: all’inizio dei Duemila inviava pizzini in cui si firmava ‘Svetonio’, nel 2020 è passato ai social network aprendo due profili, su Facebook e Instagram, con lo pseudonimo di Francesco Averna. Li usava con un duplice scopo: osservare fatti e persone nel territorio in cui si nascondeva e comunicare con persone fidate attraverso piattaforme di messaggistica istantanea.
Se i pizzini appartenevano a un sistema di comunicazione di carattere gergale, la comunicazione della Google Generation criminale, fatta di emoji, hashtag e meme, si è adeguata alle regole dei social media. Nel silenzio assordante di una mafia sempre più ibrida, in bilico tra realtà analogica e virtualità digitale.27
- G. La Piana, Strategie di comunicazione mafiosa, SBC Edizioni, Perugia, 2010, p. 20.
- G. Falcone, Cose di Cosa nostra, (in collaborazione con Marcelle Padovani), Rizzoli, Milano, 1991, p. 41
- A. Dino, A colloquio con Gaspare Spatuzza: un racconto di vita, una storia di stragi. E-book. Il Mulino, 2016
- S. Di Piazza, Mafia, linguaggio, identità, Centro di studi e iniziative culturali Pio La Torre, Palermo, 2010, p. 19
- G. Maria Calvaruso, ‘U Baccàgghiu. Dizionario Comparativo etimologico dei Gerghi Parlati dai Bassifondi, Clio, Palermo, 1029 citato in Jhon Trumper, Antonio Nicaso, Marta Maddalon e Nicola Gratteri, Male Lingue, Pellerini Editore, Cosenza, 2014, p. 9.
- ASCZ, Corte di Appello delle Calabrie, 1897, Vol. 368, 20 novembre. Cfr. A. Nicaso, Alle origini della ‘ndrangheta: la picciotteria, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 1990, p. 13.
- ASCZ, Corte di Assise di Gerace, Busta 24. Cfr. N. Gratteri, A. Nicaso, Fiumi d’oro, Mondadori, Milano, 2017, p. 5. Si tratta di un rapporto molto importante, in cui per la prima volta si fa riferimento ad una associazione a delinquere denominata degli ‘ndrangheti.
- Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica Sicurezza, Gergo della Malavita, Roma, 1969. «La pubblicazione», si legge nella premessa, «raccoglie, classificandole ed ed interpretandoli, termini ed espressioni più comunemente in uso fra delinquenti, allo scopo di offrire un sussidio valido, sotto l’esclusivo profilo didattico, a facilitare anche per questa via un più rapido ambientamento delle giovani guardie nel delicato ed impegnativo settore della polizia investigativa».
- A. Cutrera, La mafia e i mafiosi, Alberto Reber, Palermo, 1900. Ripubblicato da Franco Pangallo Editore, Locri, 2011, p. 86
- «[…] noialtri siamo mafiosi, gli altri sono uomini qualsiasi. Siamo uomini d’onore. E non tanto perché abbiamo prestato giuramento, ma perché siamo l’elite della criminalità. Siamo i peggiori di tutti!». Cfr. P. Arlacchi, Gli uomini del disonore, Mondadori, Milano, 1992, p. 5.
- A. Nicaso, M. Barillà, V. Amaddeo, Quando la ‘ndrangheta scoprì l’America, Mondadori, Milano, 20xx, pp. 236-237
- A. Pettinari, Calvaruso: “Bagarella mi diede un quaderno. C’erano nomi da terza guerra mondiale”, Antimafia Duemila, 7 ottobre 2014. Cfr. https://www.antimafiaduemila.com/dossier/processo-borsellino-quater/51677-calvaruso-qbagarella-mi-diede-un-quaderno-cerano-nomi-da-terza-guerra-mondialeq.html Consultato il 6 giugno 2024
- S. Romano, L’ordinamento giuridico, Enrico Spoerri Editore, Pisa, 1918
- ASCZ, Sentenze penali, Corte d’Appello delle Calabria, anno 1897, Vol. 368, 20 novembre. Cfr. A. Nicaso Nicaso, op. cit, 1990, pp. 13 e 69-70
- A. Cutrera, La mafia e i mafiosi, op. cit. p. 64
- A. Nicaso, Matteo Dalena, Le lettere di scrocco: come nacquero le estorsioni. Storica, 9 settembre 2021
- Marc Monnier, La Camorra, G. Barbera Editore, Firenze, 1862
- M. de Cervantes, Novelle Esemplari, Biblioteca universale Rizzoli, Milano, 1956, 1994
- C. Alvaro, La fibbia, Corriere della Sera, 17 settembre 1955
- ASCZ, Sentenze penali, Corte d’Appello delle Calabrie, anno 1890, vol. 324, 14 ottobre. Cfr. A. Nicaso, op. cit., 1990, p. 10
- A. Dumas, La Camorra e altre storie di briganti (A cura di C. Schopp), Donzelli Editore, Roma, 2012, p. 11
- A. Manzoni, I promessi sposi, Capitolo II, pag. 35
- F. Caravetta, Guagliuni i malavita. Cosenza 1870-1931, Pellegrini Editore, Cosenza, 2012
- A. De Blasio, Il tatuaggio, Prem. Stab. Tip. Cav. G.M. Priore, Napoli, 1906
- A. X. Mina, Digital Culture is Like Oral Culture Written Down, The Civic Beat, 11 gennaio 2015
- Le mafie nell’era digitale, Rappresentazione e immaginario della criminalità organizzata, da Wikipedia ai social media, a cura di Marcello Ravveduto, Fond. Magna Grecia, FrancoAngeli, Milano, 2023, pp. 15-16
- N. Gratteri, A. Nicaso, Il Grifone, Mondadori, Milano, 2023
Questo contributo è tratto dal volume tematico
Le mafie e la comunicazione